Tra il 1769 e il 1774 un’imponente operazione idraulica ‘raddrizzò’, a valle di Pisa, la curva dell’Arno prossima al sobborgo di Barbaricina, che era sulla destra del fiume, recuperando all’agricoltura e ai privati – queste furono le intenzioni –, i terreni paludosi e poco utili alle coltivazioni compresi nell’ansa.
Il vecchio letto del fiume fu così abbandonato e sempre di più se ne perse la memoria. Tuttavia qualche resto fisico della sua esistenza è rimasto e si può vedere o in loco o aguzzando la vista su Google maps.
In quanto alla storia della zona prima del taglio è documentata da manoscritti e da studi che però dedicano non molte pagine a quello che, almeno per chi scrive, è più difficile da conoscere: il piccolo centro di Barbaricina che allora era prossimo all’ansa e che subì anch’esso un mutamento di coordinate e una dispersione.
Oggi è una estesa frazione del Comune di Pisa formata da quartieri, palazzi, ville e case coloniche, prati, alberi e incolti tutti posti a nord dell’argine del fiume (raddrizzato).
Guardando fin dove è possibile arrivare, circa la sua storia, tra le carte medievali appaiono delle terre pregiate come oggetto di transazione. Avevano sopra di sé case e alberi da frutto e nel fiume il primo “caput” di confine, spesso attraversato da una “via mediante”.
Altri luoghi citati furono la via pubblica detta Carraia Mugnaini (1321), il bosco del Capitolo della cattedrale di Pisa (1339), la “padulanta pisani comunis dicta Guarguandi” (1352), o più tardi Guarigango (1476) e le Lenze (1352).
Gli abitanti inoltre fecero riferimento alla principale chiesa-parrocchia del luogo: Sant’Apollinare che è tutt’oggi esistente, ma ricostruita interamente nel 1784 in altra zona rispetto a quella medievale.
Porta un nome antichissimo. Appartenne al primo vescovo di Ravenna titolare della mirabile basilica di Classe (VI secolo), e “santo nazionale della dominazione bizantina in occidente”, come è stato scritto.
Ci si può allora domandare il perché il suo culto fosse arrivato in un luogo tanto lontano dall’Adriatico e, rispondendo alla domanda, purtroppo in modo incompleto visto il tempo passato, si può dire che nel medioevo e nell’iconografia questo si associò alla navigazione e soprattutto a San Pietro e ai suoi settantadue discepoli che, secondo la tradizione, sbarcarono contemporaneamente sulle coste d’Italia.
Nel caso di Pisa, l’Apostolo e i compagni giunsero a San Piero in Grado, dove oggi a memoria sorge una antichissima basilica con degli affreschi dugenteschi a narrazione delle vicende. In particolare una di queste opere ormai deteriorata raffigurava i Santi Marco, Dioniso, Apollinare e Pietro, mentre si accingevano a iniziare il viaggio da Antiochia fino a Roma (Bibliotheca Sanctorum).
Pertanto, anche se non esistono documenti diretti, resta plausibile pensare che se il culto di San Pietro si fermò in Grado e in suo ricordo venne eretta la basilica, anche quello del suo discepolo poté risalire il fiume e stabilirsi a pochi chilometri di distanza, presso l’ansa dell’Arno che poi fu tagliata. Il tutto nelle vicinanze di una città che ebbe nella navigazione il suo mondo e la sua ricchezza.
Una piccola storia della chiesa di Sant’Apollinare è ricordata anche da una carta del 1525-1526.
È un modesto foglio nel quale il rettore del tempo ne scrisse i beni di proprietà per disposizione degli ufficiali della Decima, la tassazione degli immobili. Leggendolo si vede proprio come la chiesa più antica si ‘affacciasse’ sull’Arno.
Il testo:
“Questi sono e beni della chiesa di San Pulinari in Barbaricina posta ne’ soborghi di Pisa.
– In primis staiora cinquanta di terra o circa poste intorno a decta chiesa, confina col fiume Arno, tenllo al mezzo maestro Vuleriano sarto habitante in Pisa, pagane ogni anno staia trentatre di grano et dua paia di capponi per la festa [il 23 luglio].
– Un campo di staiora 4 o circa, tienllo Stephano del Battaglino materassaio habitante in Pisa, pagane ogni anno staia dua di grano.
– Un campo di staiora 5 o circa posto nel medesimo luogo di Barbaricina, tienllo Pier Antonio Nucci, pagane ogni anno quarre dua di grano e un paio di capponi per la festa.
– Un campo di staiora 5 o circa poste a San Piero in Grado in luogo decto Arno Vechio, tienlla gli heredi di Gagnuola dalla Vectola, pagone di fitto ogn’anno quarra dua di grano”.
Arno Vecchio è ricordato dal Repetti nel Dizionario ante 1528 come pascolo nella “parte nella campagna di Barbaricina alla destra dell’Arno e parte alla sinistra del corso attuale ...” (scriveva nell’Ottocento).
“Vectola” è Vettola è dall’altra parte del fiume, che forse (e lo sottolineo per mancanza di prove) poteva essere attraversato più facilmente in corrispondenza dell’ansa.
Proseguendo, si trova:
– “Un campo di staiora dua unlivata posta in Monte Magno, tienlla Gian Antonio decto el Vivuola da Monte Magno, pagane di fitto ogn’anno una libbra e mezo d’olio; né altro ha d’entrata.
Dalla quale senza a far uffitiare la decta chiesa, che si dà lire ventiquatro, e fassi la festa di San Pulinari che si spende lire quatro o circa.
E così io fra Basilio de’ Servi al presente rectore di decta chiesa con giuramento affermo tal chiesa non havere altre entrate excepto la decima dal popolo”.
Quest’ultimo ricordo ci parla della presenza come rettore di un frate dei Servi di Maria di Sant’Antonio di Pisa (rimasto all’Ordine a fasi alterne fino al 2005). È però da ritenersi casuale e non legata ad una proprietà-diritto del convento.
Nel 1570 infatti Sant’Apollinare e Santa Maria Maddalena di Barbaricina unite insieme erano dette a “collazione” (diritto di nomina) dell’Ordinario, “ovvero” del Capitolo, e ne era rettore il semplice prete Domenico Fanucci.
Paola Ircani Menichini, 22 ottobre 2021
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